Le numerose vittorie di Jo Siffert fruttarono tre titoli di fila nel campionato del mondo per il team ufficiale Porsche negli anni 1969, 1970 e 1971. Il tedesco Kurt Ahrens e il francese Gérard Larrousse, che ai tempi di Jo Siffert erano piloti ufficiali della favolosa Porsche 917, saranno presenti a Friburgo il 23 e 24 ottobre 2021 per le celebrazioni in occasione del 50° anniversario della sua morte. L’artista Wolfgang Hugentobler ha realizzato un affresco che rappresenta l’originario garage di Siffert. Le tavole affrescate saranno esibite fino all’inizio del prossimo anno nel punto che ospitava il vecchio garage.
Cinquant’anni dopo la morte di Jo Siffert ci si può domandare perché sia sempre così amato. Lo spiega il suo biografo, Jacques Deschenaux: «Si parla ancora di Jo Siffert perché con la sua personalità, il suo comportamento, la sua gentilezza e i suoi risultati era riuscito a fare di sé una persona di cui essere fieri e con cui ci si poteva facilmente identificare. È fantastico vedere come un uomo scomparso da quasi cinquant’anni sia ancora incredibilmente vivo nei cuori di tantissimi. Alcuni dei quali nel 1971 non erano neppure nati!»
Incredibile volontà di successo
Dominique de Buman, già deputato al Consiglio nazionale e dal 1994 al 2004 borgomastro di Friburgo, la città natale di Jo Siffert, spiega l’«immortalità» del campione friburghese con la sua «incredibile» volontà di successo, pur essendo partito dal grado più basso della scala sociale. «Ha costantemente alimentato il proprio motore con una miscela propellente fatta della propria tenace passione per la velocità e dell’amicizia incrollabile all’interno della sua scuderia. Grazie ai valori eterni da lui incarnati, Jo Siffert ha superato l’oblio del tempo e appartiene alla nostra memoria collettiva», afferma Dominique de Buman.
Il giornalista Adriano Cimarosti, a lungo responsabile della sezione sportiva del settimanale «Automobil-Revue» a Berna, fa notare come Jo Siffert, che vinse due Gran Premi di Formula 1 ed era praticamente imbattibile nelle corse endurance, dove contribuì a far vincere a Porsche tre titoli mondiali di fila nel 1969, 1970 e 1971, sia stato «un esempio luminoso per i giovani e per coloro che aspirano al successo». Per arrivare in cima ha compiuto grandissimi sacrifici, perché non aveva altri mezzi per farlo. Questa è stata la sua più grande vittoria ancora più importante e appagante di un titolo di campione del mondo.
Heini Mader, uno dei fedeli meccanici di Jo Siffert, ritiene che non ci sia mai stato un pilota così umano e genuino come lui. «Quando divenne famoso con la scuderia Porsche, il suo modo di essere non cambiò affatto. Rimase amichevole e accessibile come nei suoi anni d’esordio ed è questo il motivo per cui tutti lo amano da sempre e ancora oggi. Quando seppi della sua morte, fu come perdere un fratello», riassume Heini Mader.
Il giorno del funerale di Jo Siffert decine di migliaia di persone della sua città natale gli resero l’ultimo omaggio. «A conti fatti, la morte di ‘Seppi’ fu vissuta in Svizzera come quella di Ayrton Senna in Brasile e non meno di 50.000 persone si ritrovarono sulle strade di Friburgo per dargli l’ultimo saluto», ricorda Jacques Deschenaux.
La dimensione mitica
Questo paragone tra Jo Siffert e Ayrton Senna chiarisce perfettamente la dimensione mitica goduta ancora oggi nei rispettivi Paesi da questi due grandi campioni. Entrambi morirono nel fiore degli anni al volante delle loro auto da corsa senza che sia stato individuato il guasto preciso costato loro la vita. Jo Siffert si distingue tuttavia da Ayrton Senna per il fatto di provenire da una famiglia molto povera.
Il friburghese era effettivamente riuscito a raggiungere il firmamento del motorsport partendo da condizioni molto modeste. Questo gli ha anche conferito una dimensione che va ben oltre i confini della Svizzera. Così scriveva Johnny Rives nel quotidiano sportivo francese «L’Equipe» del 25 ottobre 1971: «Jo Siffert era uno dei piloti più amati. Era veloce, abile e un combattente come sanno essere tutti i piloti. Aveva però anche qualcosa in più, qualcosa di diverso. La sua attitudine era superata solo dalla sua incredibile audacia. Un’audacia che appare essere tanto più grande in quanto da lui mai menzionata, se non con una risata, quando, dopo una delle sue imprese, le persone gli chiedevano come fosse andata.
In Italia, «La Gazzetta dello Sport» constatò come Jo Siffert fosse il pilota più completo: «Non faceva alcuna differenza tra i diversi tipi di auto che gli venivano date». Peter Falk, un tempo direttore sportivo di Porsche, per cui Jo Siffert avrebbe vinto 14 campionati costruttori, disse: «Seppi è stato senza dubbio il miglior pilota della sua generazione».
«La sua vita è stata la corsa, la corsa è stata la sua morte», scrisse Jacques Deschenaux sulle colonne del quotidiano friburghese «La Liberté» il 25 ottobre 1971. La BRM del pilota uscì di pista durante il 16° giro nella curva Mike Hawthorn a oltre 200 km/h, l’auto prese fuoco quasi subito e Jo Siffert morì per asfissia. Come Jim Clark, Jochen Rindt e Pedro Rodriguez prima di lui, come Ayrton Senna, Joseph Siffert è morto come i più grandi campioni, portando con sé il mistero della propria morte. Celebrando il suo funerale, Padre Duruz pronunciò una frase che divenne poi molto famosa: «Dove c’è rischio, c’è anche la morte. Dove non c’è rischio, non c’è neppure la vita».