Porsche ama l’Italia

Porsche Italia – PEC Franciacorta: a due anni dai primi progetti, si inaugura l’ottavo Porsche Experience Center al mondo e il primo in Italia. Ecco come è nato, direttamente dalle parole dei protagonisti

 

  

Quando ci siamo resi conto che la superficie sulla quale operare era di undici di ettari, da una parte abbiamo tirato un sospiro di sollievo, per la libertà creativa garantita da uno spazio così generoso, dall’altra ci siamo resi conto della portata del progetto nel suo insieme. E ci siamo subito messi al lavoro». Per Antonio Gioli e Federica De Leva, fondatori e partner dello studio milanese GBPA Architects, l’avventura del Porsche Experience Center Franciacorta è stata non solo un’opportunità di lavoro ma la possibilità di immaginare una specie di percorso attraverso le pieghe di uno dei più straordinari esempi di design e tecnologia, automobilistica e non solo.

Tutto parte nel luglio 2019, quando GBPA viene invitato a partecipare alla gara per la realizzazione dell’ottavo PEC al mondo. Presentano due ipotesi progettuali per le quali vengono scelti, ma che sono state poi completamente superate dal nuovo progetto, realizzato a sei mani con Porsche Italia (che mantiene la paternità e responsabilità dell’opera) e Porsche AG: «Abbiamo trovato una sponda eccezionale nel team formato dalle due realtà Porsche perché molto evoluto, creativo, aperto. Insomma, costruttivo e stimolante. Una fusione tra cultura tedesca e italiana molto interessante, con un guadagno reciproco in termini di visione e creatività», dice soddisfatta Federica, che aggiunge: «Il nostro asso nella manica è stato Pietro Innocenti, AD di Porsche Italia, con il suo entusiasmo contagioso e l’apporto decisivo nella scelta dei materiali».

Antonio Gioli, Federica De Leva, Jarno Zaffelli

Hangar

Il cambio di passo coincide con la scoperta di un edificio un po’ defilato. Spiega Antonio, che si è occupato dell’architettura degli esterni: «Ci siamo trovati di fronte a una struttura molto grande e praticamente abbandonata che inizialmente ospitava un kartodromo coperto ed era dalla parte opposta di dove si pensava di creare l’ingresso del PEC. Vista la sua interessante forma ad hangar, abbiamo deciso di farlo diventare l’edificio principale svuotandolo e demolendolo completamente ma lasciando la struttura a volte in lamellare».

Questo ha significato un ribaltamento della logistica dove il precedente ingresso principale è diventato secondario e l’accesso al PEC è stato spostato in prossimità di questa struttura recuperata, l’attuale Customer Center.

Full immersion

Per entrare in sintonia con il mondo Porsche, i due architetti si sono impegnati in una full immersion dalla quale sono usciti entusiasti, soprattutto Federica, al primo approccio con la Casa di Zuffenhausen: «Antonio, essendo un amante del motorsport, è partito facilitato. Per me è stato diverso ma ha funzionato, perché mi sono innamorata follemente delle Porsche!». Il primo passo è stato visitare il PEC Hockenheim, con test drive di vari modelli, seguito da due giorni passati a Stoccarda, tra museo e fabbrica. «Tutto molto interessante e stimolante, un bagaglio che ci siamo portati dietro per tutta la gestazione del progetto».

Una volta ricevuto l’incarico, Antonio e Federica sono rimasti colpiti dalla libertà concessa alla loro creatività: «Pensavamo che avremmo avuto da rispettare regole rigide nell’applicazione dell’immagine Porsche e invece, tranne la definizione delle macrofunzioni necessarie al PEC (Customer Center, accoglienza e altro) il margine di libertà creativa era piuttosto alto».

La ragione è nella natura del Porsche Experience Center, un format che va al di là degli standard collocandosi invece in una dimensione diversa, dovendo rappresentare la nazione che lo ospita, veicolando una serie di valori tipici del luogo che lo rendono unico: «Abbiamo cercato di coniugare tradizione e innovazione Porsche con analoghi valori del territorio. Ovvero la Franciacorta, che significa operosità, qualità, bellezze naturali, cultura, tradizioni, in una parola Italia».

Customer center

La prima cosa di cui hanno tenuto conto è stato analizzare, al di là dell’aspetto, come funziona un PEC, quali sono le sue peculiarità, qual è l’esperienza che deve vivere il cliente: «A Stoccarda ci hanno spiegato che si tratta di un viaggio che inizia con una sorta di gate, una porta che introduce nel mondo Porsche e che abbiamo identificato nel Customer Center, l’edificio principale ricco di suggestioni attraversato il quale si accede alle aree della pista, dove l’esperienza si fa diretta».

Nella progettazione, quali sono le priorità che vi siete dati? Unicità, fruibilità, spettacolarità? «C’è una frase molto cara a Porsche: form follow function. Se la forma segue la funzione si realizza l’equilibrio di tutte queste caratteristiche», dice Antonio Gioli.

Il Customer Center è una specie di hangar ricco di suggestioni

E così, all’interno di questo hangar di 4.500 mq e alto 15/16 metri che è il Customer Center, gli architetti di GBPA hanno creato, intorno a una grande piazza sovrastata da un ponte sospeso, tutta una serie di volumi e spazi con funzioni specifiche che vanno dal ristorante allo shop, dalla caffetteria a spazi per eventi, in un sistema articolato dove si sta sempre in contatto visivo con tutto: «Progettando il PEC abbiamo voluto mettere l’auto al centro, protagonista assoluta che può essere guardata, osservata, ammirata da qualsiasi tipo di angolazione all’interno di un contesto aperto. La nostra intuizione è stata di capire che la struttura a volte dell’hangar avrebbe potuto fare al caso nostro».

In effetti l’auto è l’attrice principale, al punto che può muoversi agevolmente in tutti gli spazi del grande Customer Center, salire sugli spalti con un ponte che la collega a tutti i livelli, può anche entrare nelle sale meeting, addirittura nel ristorante del primo piano con un sistema di rampe e ascensori dedicato.

Per tutti

E poi c’è l’esperienza di chi guarda l’automobile, di chi attraversa gli ambienti e con loro deve entrare in sintonia. Spiega Federica De Leva, che si è dedicata agli interni del PEC: «Abbiamo caratterizzato gli ambienti riguardo alla loro funzione. Quelli legati al business, ad esempio alla presentazione della macchina, sono volutamente più asettici, razionali, puliti, ricordano la strada, con tonalità neutre che fanno risaltare l’auto.

Sono invece caratterizzati da colori e tessuti più caldi oltre che da grandi foto della storia Porsche tutti gli altri ambienti dedicati al relax, come il ristorante e la caffetteria. Ambienti che devono accogliere tutti, famiglie, coppie, bambini per dare esperienze diverse a chi non è necessariamente un appassionato».

Ed è questa una delle caratteristiche sulle quali si è molto lavorato e alla quale Innocenti teneva molto: la fruibilità del Porsche Experience Center per un pubblico eterogeneo e trasversale, per età e passioni.

Percorso

Per i progettisti di GBPA, il PEC è anche l’organizzazione di una superficie di 110.000 mq, un paesaggio da gestire mantenendo l’idea di una sorta di percorso: «In questo senso all’uscita del Customer Center abbiamo creato una specie di boulevard facendo molta attenzione all’arredo urbano e all’alberatura. Nell’ottica appunto di soddisfare le esigenze di tutti e di avvicinare alla conoscenza di Porsche pubblici eterogenei, abbiamo voluto creare uno spazio accogliente, dinamico ma anche rilassante, con del verde e delle sedute», dice Antonio. Gli altri aspetti progettuali hanno infine interessato edifici funzionali come il Training Center e i box, riprogettati mantenendone l’ubicazione.

Tempi da record

Tempi da record

Dalla progettazione all’inaugurazione, la realizzazione del PEC Franciacorta ha richiesto meno di due anni

Pista

Lo stesso processo che ha interessato la pista, che con la sua estensione porta a circa sessanta gli ettari dell’intero complesso. Ad esclusione di una variante che dà la possibilità di dividerlo in due parti da utilizzare contemporaneamente, il tracciato è rimasto invariato. Solo nel disegno però, perché a mettere mano ad un restauro migliorativo è stata chiamata Dromo, un’azienda al top nel ranking mondiale tra quante si occupano di circuiti di Formula 1 e MotoGP.

«Se nel mondo ci giochiamo il primato», si schermisce il titolare, Jarno Zaffelli da Reggio Emilia, «come asfalti probabilmente non siamo secondi a nessuno». Specialisti veri, chiamati a sistemare circuiti come Silverstone, Paul Ricard, Zandvoort o Istanbul, dove l’asfalto della pista aveva creato problemi nel GP di Turchia 2020, sono stati prima convocati da Porsche Italia per la valutazione del tracciato, salvo essere poi incaricati della sua sistemazione e della preparazione delle altre aree di test.

«Quando lavoriamo su autodromi esistenti, cerchiamo di snaturarli il meno possibile. Così è stato anche per Franciacorta, ottimizzato cercando di sistemare ciò che non funzionava, dalle pendenze per lo scolo dell’acqua alle vie di fuga alla tipologia degli asfalti». Il brief di Porsche Italia era di un manto ad alte prestazioni, per far diventare la pista del PEC Franciacorta una tappa della Carrera Cup e un luogo di racing experience, omologato FIA Grado 2, ovvero dove può correre di tutto tranne la F1.

Lavoro d’equipe e cura dei dettagli per mettere il design al servizio della funzione

Il risultato è notevole perché la pista può essere percorsa in assoluta sicurezza e con una certa confidenza, senza subire il timore che di solito incutono i circuiti più famosi: «La pista deve essere sincera alla stessa maniera di un telaio, del quale ti fidi perché trasmette la tranquillità di poter sfruttare al massimo il potenziale senza dover guidare al limite. Sono orgoglioso del risultato ottenuto in Franciacorta», dice Jarno.

Il lavoro di Dromo ha interessato anche gli altri percorsi del PEC: da quello off-road, con una dozzina di moduli sui quali provare livelli di difficoltà crescenti, alle piste a bassa aderenza, con asfalti e cementi anche asciutti, o manti da allagare, per creare muri d’acqua, percorsi di slalom, spazi per test di frenata e così via.

Cosa le piace di più dei 2.519 metri del circuito? «L’abbondanza di spazio per allungarlo fino a 4 chilometri, con un progetto già realizzato che aspetta solo l’ordine», risponde sorridendo Jarno Zaffelli, creatore di luoghi di passione.

Alessandro Giudice
Alessandro Giudice