«Concentrandosi sull’essenziale»
In tempi difficili il management è particolarmente sotto pressione. A colloquio con Oliver Blume, Christophorus ha appreso in che modo il capo di Porsche diriga con successo la propria azienda attraverso la crisi del coronavirus, quali siano i principi fondamentali che lo guidano – e come tutto questo abbia a che fare con lo sport di squadra
Modelli Porsche Cayenne Coupé
Consumo carburante combinato: 14,1–11,8 l/100 km
Emissioni CO2 combinato: 319–268 g/km
Modelli Porsche Cayenne E-Hybrid Coupé
Consumo carburante combinato: 5,4–3,2 l/100 km
Consumo elettrico combinato: 26,5–23,6 kWh/100 km
Emissioni CO2 combinato: 122–73 g/km
Modelli Porsche 911 Turbo S
Consumo carburante combinato: 12,5–12,0 l/100 km
Emissioni CO2 combinato: 284–271 g/km
Modelli Porsche 911 Targa
Consumo carburante combinato: 11,1–10,4 l/100 km
Emissioni CO2 combinato: 253–236 g/km
(Stato 10/2020)
Tutti i dati tecnici riportati negli articoli possono variare a seconda dei Paesi. I valori del consumo e delle emissioni di CO2 sono stati misurati secondo il nuovo procedimento di misura WLTP.
Signor Blume, il coronavirus pone la società e l’economia davanti a sfide enormi. Come ha affrontato Porsche la crisi, finora?
Siamo solidamente in cammino. Lo dimostrano anche i dati economici positivi della prima metà dell’anno. Siamo ben davanti alla concorrenza. La base del nostro successo è il nostro team. Insieme abbiamo superato la crisi: nella tutela della salute, nelle questioni aziendali e nella comunicazione digitale. Sempre con uno sguardo attento ai nostri clienti. Sono loro che contano, noi vogliamo realizzare i loro sogni.
Che cosa distingue Porsche dagli altri?
Porsche è sempre stata diversa ed è un marchio speciale. La squadra è molto motivata, lavora con passione ed è saldamente unita. Incarniamo ancora oggi lo spirito pionieristico con cui Ferry Porsche ha iniziato a lavorare. Abbiamo stabilito la rotta strategica molto presto e operato con coraggio. E consideriamo la crisi un’opportunità. I nostri prodotti attraenti ci danno una spinta favorevole, che si tratti dell’iconica 911, della nuova Cayenne Coupé o dell’auto sportiva elettrica Taycan, recentemente votata come l’automobile più innovativa al mondo. Tutto questo ci rende fiduciosi.
Questo riflette idee molto chiare. Ma come si mettono in pratica nella quotidianità della pandemia?
Concentrandosi sull’essenziale. Che cosa definisce Porsche, che cosa è veramente importante per noi? In una crisi, diventa subito chiaro quanto un’azienda sia organizzata in modo solido e flessibile. Abbiamo lavorato duramente sulla nostra struttura dei costi. Abbiamo sfruttato questo periodo per sviluppare ulteriormente la nostra strategia, i processi e i prodotti. In generale, stiamo utilizzando più che mai metodi digitali. Questo vale per la cooperazione, ma anche per le esperienze dei nostri clienti.
Quanto ha cambiato il coronavirus nello stile della comunicazione?
Anche qui c’è una nuova realtà – ed è molto più digitale. Abbiamo organizzato online i debutti mondiali della 911 Turbo S e della 911 Targa. In modo autentico, informativo e innovativo. I risultati sono stati nettamente positivi. I formati digitali funzionano anche nelle vendite. Allo stesso tempo, però, manca l’emozionalità che si prova guidando la vettura. Le riunioni sono molto più disciplinate, concentrate e orientate agli obiettivi. Ma anche qui manca il contatto personale. Nel complesso, la mia conclusione è positiva: il digitale rende la vita più flessibile e lo scambio personale continua a restare prezioso.
«La base del nostro successo è il nostro team» Oliver Blume
Come ha guidato la sua squadra nella fase acuta della crisi del coronavirus?
In modo ottimizzato, sistematico e orientato al team. La pandemia del coronavirus ha cambiato le regole del gioco nella società e ha creato incertezza. Io stesso agisco con ancor più calma del solito in situazioni critiche. Dunque, per me si tratta proprio di sostenere, orientare e dare sicurezza al team. Allo stesso tempo è importante prendere decisioni pragmatiche, chiare e rapide.
Quali decisioni sono state necessarie?
Nel team di crisi sono stati discussi quotidianamente un gran numero di argomenti e le decisioni sono state prese sulla base dei fatti. Al centro stavano la tutela della salute e l’occupazione, la liquidità e la redditività, ma anche soprattutto i nostri clienti e partner. Grazie al nostro team informatico, siamo stati in grado di lavorare in gran parte da remoto sin dal primo giorno di lockdown. Abbiamo continuato a lavorare in loco, dove questo era possibile. Con l’aumento dei colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento globali, alla fine abbiamo dovuto sospendere la produzione per sei settimane. Guardando sempre in avanti e preparandoci per la ripartenza.
In questa fase difficile l’azienda non ha però guardato solo a se stessa …
Proprio così. Per noi era importante proprio questo: come stanno gli altri, dov’è richiesto il nostro aiuto? In una crisi, le persone devono avvicinarsi. Tutti devono contribuire. Così è stato creato il programma «Porsche aiuta». In Germania, abbiamo supportato i team di crisi dei governi dei Land del Baden-Württemberg e della Sassonia, e abbiamo organizzato dispositivi di protezione attraverso le nostre catene di fornitura globali. Abbiamo notevolmente aumentato le nostre donazioni per aiutare le persone bisognose. Inoltre, i nostri dipendenti hanno effettuato generose donazioni private. Vi sono state diverse iniziative in tutte le sedi internazionali. I nostri colleghi negli Stati Uniti hanno messo all’asta l’ultima 991 Speedster per una buona causa, raddoppiandone l’importo di vendita, che poi hanno donato. Altri hanno cucinato quotidianamente per gli anziani – la varietà delle azioni è stata eccezionale.
L’azienda Porsche non è dunque fine a se stessa, bensì avrebbe una funzione sociale?
Questo è il nostro atteggiamento di base. La nostra comprensione della sostenibilità include questioni economiche, tutela dell’ambiente e, appunto, anche la responsabilità sociale. Personalmente, trovo che mantenere il mondo vivibile per la società e le generazioni future sia una grande motivazione.
Qui a parlare non è solo il capo di Porsche, ma anche una persona. Chi ha influito nel suo percorso personale?
Prima di tutto, i miei genitori, la mia famiglia e i miei amici. Ad esempio, durante la grande ondata di profughi, mia moglie ha deciso di prendersi cura delle persone che arrivavano da noi senza nulla. Li aiuta a iniziare e dà lezioni di tedesco ai bambini. Ora i primi hanno completato una formazione in Germania oppure hanno conseguito il diploma di maturità. L’istruzione è la base. E ogni singola persona conta. È qualcosa del genere che mi ha influenzato.
Quali erano le sue condizioni di partenza?
Ho vissuto una bella giovinezza e sono cresciuto in circostanze normali. Mio padre lavorava in un supermercato, mia madre in banca. Mi è stata trasmessa una visione sana della vita. Prendo tutti per come sono. In azienda non mi importa se parlo con un collega della produzione, un membro del consiglio di sorveglianza o un collega del consiglio direttivo. Rispetto tutti e so che posso imparare da tutti. Ed è proprio così che vorrei essere trattato anch’io. Questi sono i valori fondamentali che ho imparato a casa dei miei genitori. Il rispetto e l’apprezzamento sono molto importanti per me.
Si considera un ottimista?
Assolutamente sì! Penso sempre a ciò che è fattibile e alle opportunità. Un atteggiamento positivo è metà dell’opera. L’ho imparato nello sport: alla fine vincerà solo una squadra che scende in campo con fiducia in se stessa e voglia di vincere.
Quanto è importante il capo, e quanto il team?
Ogni squadra è brava solo nei termini in cui è guidata. Questo vale per tutte le squadre – nello sport come nelle attività economiche. In Porsche mi vedo come l’allenatore-giocatore di un top team. Per me la leadership è un servizio strettamente legato alla responsabilità, all’organizzazione e all’orientamento. Stabilisco linee guida chiare. Ma in modo tale che vi sia abbastanza individualità, creatività e flessibilità per chiunque. Come nello sport, si inizia con la formazione della squadra. Non tutti sono adeguatamente schierati in ogni posizione. Si tratta di individuare dove ciascuno può mettere in campo al meglio i propri punti di forza. Poi vengono il sistema di gioco e le tattiche, paragonabili alla strategia e ai processi di un’azienda. E lo spirito di squadra è fondamentale. Con una squadra forte posso spostare le montagne.
Vi sono modelli che hanno influito su di lei?
Non ho un modello specifico. Prendo ispirazione da persone con capacità straordinarie. Nell’ambiente personale, nella società, nello sport o negli affari. Ho avuto ottimi capi. Ho imparato qualcosa da ciascuno di loro e ho tratto beneficio dalla loro esperienza. Per me è sempre stato importante sviluppare la mia personalità, rimanendo autentico. Copiare non funziona. Nello sport mi entusiasmano allenatori come Jürgen Klopp, che ottiene tutto dalla sua squadra con competenza e passione. Questa è la qualità della leadership. Questo mi appassiona.
Vuol dire che l’uomo Oliver Blume è ancora in cammino?
Senza dubbio. Sviluppare se stessi è un processo che dura tutta la vita. Non si ferma mai. La cosa bella nell’invecchiare è combinare esperienze con cose nuove. È così che si matura, divenendo più intelligenti e riflessivi. E di questo si può trasmettere molto agli altri. Per me questa è una grande motivazione nella vita.
L’esperienza si raccoglie soprattutto in situazioni al limite. Come procede in momenti simili?
Con un atteggiamento positivo, con equilibrio interiore e coraggio. Una situazione di pressione crea in me una tensione positiva. Per me è però importante non trasferire la pressione alla squadra. Chiaramente, un percorso non è mai totalmente rettilineo. Con il giusto atteggiamento, tuttavia, qualsiasi obiettivo può essere raggiunto. Un buon esempio sono progetti come una nuova 911 o la Taycan. Ci sono sempre situazioni difficili che devono essere padroneggiate come squadra. È fondamentale la giusta preparazione, essere all’altezza del problema, lottando per ogni metro. Uno per l’altro.
E come trova il suo equilibrio interiore?
Praticando sport riesco a staccare al meglio. Faccio jogging, vado in mountain bike, gioco a tennis o nuoto. In questo modo posso schiarirmi le idee, ricaricare le batterie e riflettere. Dove posso aver reagito in modo errato, quali decisioni hanno la priorità, che cosa intendo fare. La bella sensazione dopo lo sport è una vera carica di energia.
Si ritiene cambiato anche personalmente dalla crisi del coronavirus?
Ho vissuto in modo molto più consapevole. Viaggiando di meno, ho avuto più tempo con la mia famiglia alla sera. I miei figli erano sempre presenti e abbiamo avuto molte opportunità di scambiare idee. Mi è diventato ancora più chiaro che sono le persone a rendere la vita degna di essere vissuta. E che bastano pochissime, piccolissime cose per essere veramente felici.
Le sono mancati i suoi viaggi, altrimenti frequenti?
Non proprio. Al contrario, è stata anche un’esperienza positiva: non ho mai avuto così tanto tempo per occuparmi delle attività di Porsche e sono stato in grado di entrare nei dettagli in modo molto più ampio. Non ero mai riuscito a farlo nella stessa misura nel mio precedente ritmo di lavoro con i miei diversi compiti nel Gruppo Volkswagen.
Nella fase acuta lei si è trovato abbastanza isolato nello stabilimento di Zuffenhausen. Che esperienza è stata?
Non ero del tutto solo, c’erano colleghi ogni giorno – a distanza, ovviamente. È stata però una strana sensazione camminare per i padiglioni dello stabilimento deserti. Tutte le nostre emozioni dipendono dalla costruzione di auto sportive; è ciò di cui viviamo. E poi questo vuoto. Era come in una serie fantasy costruita in modo completamente strano. A volte ho pensato: «È la realtà oppure solo un brutto sogno?»
A causa del coronavirus la caratteristica di spazio protetto dell’auto ha riguadagnato importanza. Viene considerata ora in modo più positivo?
Per me l’auto ha sempre significato libertà. Ora questa libertà, inclusa la funzione di protezione, è percepita dalle persone più intensamente. Vedo un grande futuro per le automobili, a condizione che siano sostenibili e rispettose dell’ambiente. Garantire questo è il nostro grande e comune compito.
Parole chiave «sostenibilità» e «Taycan». Ricorda la sua prima esperienza con la Taycan?
Certo. Era nella prima fase del prototipo, eravamo tutti tesi. Quanto sportiva può essere l’elettromobilità? Quando poi ho sperimentato la Porsche elettrica e ho percepito l’incredibile accelerazione e dinamica di marcia, mi sono assolutamente entusiasmato. La Taycan è più rapida dell’accelerazione gravitazionale. Sembrava quasi di saltare in acqua da una piattaforma alta dieci metri. La Taycan è una pietra miliare per le vetture elettriche sportive e per la mobilità sostenibile.
E cosa significa questa pietra miliare per il futuro di Porsche?
Per noi l’elettromobilità è un’enorme opportunità. Realizzare la Taycan è stata una battaglia impegnativa e una questione di spirito pionieristico. Abbiamo avuto il coraggio di fare molto, ma allo stesso tempo abbiamo anche imparato molto. Vedere quanto venga accolta bene l’auto è una grande motivazione per la nostra squadra. Il nostro mix di sistemi di trazione per il futuro è flessibile: continuiamo a espandere l’elettromobilità, ma puntiamo anche su motori a combustione emozionali e potenti propulsori ibridi. Il nostro motto è: l’auto sportiva giusta per lo scopo giusto. È così che Porsche resterà sempre Porsche.